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Spedizione All’Aconcagua (6.962m) – Gennaio 2023

Spedizione all’Aconcagua (6.962m) – Gennaio 2023

L’Aconcagua è una montagna situata in territorio argentino la cui altezza è stimata in 6.962 m. E’ la cima più alta della Cordigliera delle Ande, oltre che la più alta delle Americhe e di tutto l’emisfero australe. E’ inoltre la più alta del mondo al di fuori del continente asiatico e la seconda per altezza all’interno delle Seven Summits (dopo l’Everest). Un dato che mi ha particolarmente affascinato è che rappresenta la seconda montagna della Terra per prominenza, superata solo dall’Everest.

Per molto tempo mi sono documentato sul percorso, l’altimetria, il materiale. Ho studiato libri, cartine, relazioni. Sapevo che non ci sarebbero state difficoltà alpinistiche tecniche rilevanti, ma anche che la quota di quasi 7.000 metri e il meteo instabile, anche nella stagione migliore, sarebbero state due variabili da non sottovalutare. Chi abbia mai preparato una spedizione del genere sa che è come avere un tarlo nella testa, un piccolo animaletto che ogni tanto si muove e causa uno scricchiolìo che nessun altro sente. Nelle settimane che precedono la partenza la sogni, ci pensi giorno e notte. Pensi a cosa portarti, scegli mentalmente il vestiario, l’attrezzatura. Pensi a quanto freddo sentirai e che non dovrai farti abbattere dalla solitudine, dalle difficoltà, dal vento, dalla neve. “Non cedere.” Te lo ripeti all’infinito.

Sono partito per l’Aconcagua il 28 Dicembre 2022… ma ero già lì da tempo. Solo che ancora non avevo preso l’aereo.

Aconcagua 01

01/01/2023 – Ingresso al Parque Provincial Aconcagua

Partiti dall’Italia, siamo atterrati a Buenos Aires e poi abbiamo raggiunto Mendoza con un volo interno. Una volta completate le formalità e ottenuto il permesso alla salita abbiamo preso un autobus fino a Villa Los Penitentes, una specie di avamposto che deve aver vissuto un periodo di splendore come stazione sciistica prima di un progressivo abbandono. A Los Penitentes si divide il materiale e tutta l’attrezzatura da campo (tende, fornelli, carburante, cibo) viene consegnato alle società che si occupano di trasportarlo al Campo Base con i muli. Noi abbiamo sei duffel, una borsa piena zeppa di cibo disidratato e una tanica di white gas, per un totale di 138 Kg di materiale. L’ingresso del Parco viene raggiunto con un fuoristrada.

Così è cominciato il nostro 2023!

Aconcagua 02p

03/01/23 – Campo Base (Plaza de Mulas, 4.370m)

I due giorni di cammino per raggiungere Plaza de Mulas non sono tecnici, ma sono veramente lunghissimi. La prima tappa è Confluencia (3.430m), una avamposto attrezzato con grosse tende ad igloo. Qui si trovano ancora dei comfort perché le compagnie si sono organizzate: c’è chi fornisce pasti caldi, chi internet attraverso il satellite e chi, addirittura, la doccia, alla modica cifra di 20 dollari. Normalmente si dorme due notti a Confluencia, sfruttando un giorno per raggiungere Plaza Francia (4.230m). Ci atteniamo al programma e al rientro mangiamo con avidità, sapendo che sarà l’ultima occasione per mettere sotto i denti qualcosa di decente. Io non mi sento bene e anticipo i miei compagni nel rientro. Il giorno ancora successivo partiamo per Plaza de Mulas. Tappa tremenda, infinita, da me sofferta più del normale per le condizioni ereditate dal giorno precedente. Il sole è fortissimo, per la quota. Il vento costante, incanalato in questa gola interminabile. La polvere si alza e accompagna i viandanti, i muli e gli arrieros, cavalieri da modi e pelle dura. Questa combinazione di sole, vento e polvere, che marchia tutti coloro che hanno deciso di attraversare la valle deserta che porta al Campo Base, richiede pazienza e buona tolleranza al mal di testa che, inevitabilmente, si presenterà nella notte. Non è un viaggio privo di pericoli: facilmente si incappa nella carcassa di qualche mulo che, inciampando o fermandosi nel punto sbagliato, è caduto sulle rocce affilate dell’ultimo tratto della salita e non ce l’ha fatta. La vita al Campo Base è facile, se il meteo è clemente. Con l’eccezione dei momenti nei quali fa troppo freddo, si trova acqua liquida e potabile. Le compagnie offrono il servizio di scaldare l’acqua per i thermos. Cominciamo a bere il più possibile per favorire l’acclimatamento e ci prepariamo a quelli che sappiamo essere i giorni più duri della salita. Decidiamo per una salita al Campo 1 e il ritorno al Cambo Base in serata.

Aconcagua 03p

05/01/23 – Campo 1 (Plaza Canadá, 5.050m)

Il giorno della nostra partenza per il Campo 1 il meteo ha cominciato a cambiare. Abbiamo fatto la salita con una leggera bufera. I vestiti sono bagnati, gli zaini pesanti, l’umore basso. Sistemiamo le tende, organizziamo i turni per sciogliere la neve. Abbiamo superato i 5.000 metri e la quota ora si sente. La testa è leggera, i movimenti rallentati, lo stomaco chiuso. Durante la notte si alza una bufera tremenda che ci punirà quello che è stato il più grande errore commesso in questa spedizione: la scelta delle tende. Abbiamo puntato tutto sulla leggerezza, portando tende troppo piccole e troppo poco resistenti ai venti delle Ande. Io e il mio compagno, Luigi, passiamo la notte a fissare il telo, sperando che non si strappi. Il vento è impressionante, percuote la tenda, la sbatte; le compressioni sono così violente che l’interno tocca i nostri sacchi letto, bagnandoli con l’umidità condensata. Era come se qualcuno, da fuori, si appoggiasse alla tenda e tentasse di sedersi su di noi. In un’altra tenda, a Nicola e Manuel va peggio. La neve entra all’interno, soffiata dal vento, ricoprendoli come farebbe lo zucchero a velo su una fetta di torta. Nessuno di noi riesce a dormire per un solo minuto e la mattina dopo siamo esausti. Distrutti dalla mancanza di riposo, dobbiamo lavorare a lungo prima di disseppellire tende e materiale. Una delle notti più dure e spaventose della mia vita.

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06/01/23 – Campo 2 (Nido de Condores, 5.575m)

La quota e la notte infernale del Campo 1 lasciano il segno sulla nostra spedizione: di sei persone, tre decidono di non continuare. Anche il nostro capo spedizione, Paolo, decide di fermarsi: è un alpinista di grande esperienza e sente che la tosse sta peggiorando. E’ lui che ha la minor esitazione, è libero dal raggiungimento del risultato perché ne ha molti altri nel palmares. Sa che se continuasse rischierebbe un edema polmonare e affronta il rientro in totale serenità. Separarsi non è mai facile in queste situazioni. Si cerca di convincere i compagni a resistere, ma l’esagerazione diventa pericolosa, l’insistenza fuoriluogo. Organizziamo di nuovo materiale e tende, fornelli, cibo, combustibile. Contiamo i pasti che ci serviranno per l’attacco alla vetta. Raccogliamo le forze e l’umore. La salita al Campo 2 è lenta, lunga, estenuante. Abbiamo difficoltà a trovare il posto per la tenda. Nevica, il cielo è nero, il vento ci costringe a rifugiarci nelle nostre tende. Ne abbiamo due: in una ci sono Federico e Manuel, nell’altra ci sono io. Siamo costretti a entrare nel sacco letto con il piumino, il berretto, i guanti. Passiamo il giorno successivo a sciogliere neve e a idratarci. E’ in questo luogo che non consente distrazioni che ho avuto un piccolo, enorme, imprevisto. Dopo tanta fatica ero riuscito a preparare l’acqua da mettere nella busta del cibo disidratato. Normalmente l’acqua impiega 7-8 minuti per re-idratare il pasto e avevo impostato un conto alla rovescia nel mio orologio, che però avevo lasciato in tenda insieme al cibo. Non ho sentito l’orologio e credo di aver prolungato il tempo di 10 minuti più del dovuto, intento a spalare la neve dalla tenda, dimenticandomi completamente della mia cena che nel frattempo si raffreddava. Quando me ne sono ricordato il cibo era completamente congelato. Quell’immagine mi aveva ricordato il momento in cui si toglie il minestrone dal congelatore e si mette nella pentola, dove si può vedere uno strato di ghiaccio che copre ogni pezzetto di verdura. Non mi dimenticherò mai la delusione e lo sconforto che provai. I pasti erano contati, non avrei potuto usarne un altro, e quello era perso. Ripensandoci ora, mi sembra innaturale l’immane tristezza che provai in quel momento; dopotutto, era solo un pasto! Questo mi ha fatto capire quanto le priorità possano cambiare in montagna, rispetto alla comodità della nostra società.

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08/01/23 – Campo 3 (Còlera, 5.950m) e tentativo di vetta

Saremmo dovuti partire alle 03:00 del mattino ma tra una cosa e l’altra si erano fatte le 04:00. Senza dire una parola, ci siamo messi in fila e abbiamo cominciato la salita. Le nostre previsioni però si rivelano sbagliate. Avevamo stimato due ore e mezza per raggiungere il Campo 3 e invece ne impieghiamo quattro. Siamo a quasi 6.000 metri, i passi si fanno pesanti, il respiro diventa sempre più frequente e profondo, per cercare di far fronte alla minore pressione di ossigeno. Nell’ultimo tratto siamo lenti, io più dei miei due compagni. Da lì avremmo avuto altre 9 ore, almeno, per la vetta. Ci fermiamo, analizziamo la situazione. Le ultime previsioni rubate al Campo 2 danno il meteo in rapido peggioramento, con rischio valanghe altissimo. A quota 6.300m c’è un metro di neve fresca, instabile, caduta la notte precedente. Tracciare è inumano, al di là delle nostre possibilità. Tutte le spedizioni presenti stanno preparando la ritirata. Qualche giorno più tardi scopriremo che nessun gruppo, in quei giorni, sarà riuscito a completare la salita.

In quell’istante abbiamo capito, senza che nessuno parlasse, che non saremmo riusciti a salire ma, cosa più importante, che non avremmo dovuto provare, perché sarebbe stato troppo pericoloso. Ne abbiamo anche discusso, ma la decisione era già stata presa, ognuno l’aveva comunicata agli altri con lo sguardo. E’ il momento per il quale un alpinista si prepara in tutta la sua vita, il momento in cui bisogna mettere da parte l’orgoglio e pensare a riportare a casa la pelle, perché vince chi torna. Ci sforziamo di tirare fuori un sorriso per una foto, con una tristezza nel cuore indescrivibile… Però felici per aver raggiunto quel luogo remoto! Il Campo 3 non è altro che uno spiazzo, una parte pianeggiante sul fianco della montagna, dal quale si vedono le Ande e dove il limite al panorama è data solo dall’occhio umano. Un posto incredibile, inaccessibile, severissimo, spietato; non c’è acqua, non c’è un riparo naturale, non c’è niente di più che ghiaccio interrotto da qualche roccia che affiora. Dormire qui in tenda non è un’esperienza per tutti. Tutti e tre ci fermiamo e ci guardiamo intorno a lungo, drogati dalla quota, rallentati dall’aria sottile che si respira, incantati dalla vista sulla Cordigliera.

Se avessimo avuto una finestra di meteo decente avremmo potuto aspettare, ma spaventati dalle previsioni decisamente poco rassicuranti, decidiamo di tornare direttamente al Campo Base. Una ritirata che ha un costo elevato: bisogna scendere di 1.700m, smontando i campi, con zaini pesantissimi e indossando gli scarponi da alta quota. Arriviamo prima del tramonto, sfiniti, sporchi, arsi dal sole e dal suo riverbero sul ghiacciaio. Ricomincia a nevicare e io passerò la sera in tenda, a idratarmi e medicarmi i piedi, ormai sanguinanti.

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Fatta la strada a ritroso, in un paio di giorni siamo di nuovo a Mendoza. La delusione per non essere arrivati alla vetta è grande… ma quando si è in ottima compagnia, non bisogna sprecare tempo a rimuginare sugli insuccessi. E allora meglio noleggiare le bici e fare un bel giro per le cantine!

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Un grazie a queste persone eccezionali che hanno condiviso con me questa avventura… e che si sono prestati ad una delle mie foto “artistiche”

Da destra verso sinistra: Paolo, il nostro capo spedizione, Nicola, Luigi, Manuel, Federico… e io a chiudere.

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